Inquartato: nel primo, d’argento al faggio al naturale, terrazzato di verde; nel secondo e nel terzo: inquartato: nel primo e quarto d’oro, alla gemella doppiomerlata d’azzurro posta in banda e accompagnata da due stelle d’otto raggi dello stesso; nel secondo e nel terzo d’azzurro, al pino terrazzato di verde, col palo di rosso attraversante sull’inquartato e caricato del gonfalone e delle chiavi pontificie (Sfrondati della Riviera); nel quarto, d’argento, al castello di rosso.
L’ingegnere Camillo Ghisi, insigne villeggiante, realizzò lo stemma nel 1927, allegando una dettagliata relazione araldica. L’albero presente nel primo inquartato è il famoso faggio di Barni, meglio conosciuto con il nome dialettale el fò. Di monumentali proporzioni, il Ghisi giurava di vederlo a occhi nudi addirittura dai bastioni di Porta Venezia di Milano. Lo stesso ingegnere si documentò e si accertò della salute dell’albero che fu abbattuto nel 1926 dopo che una tromba d’aria soffiando tra i suoi rami, lo ridusse della metà. Nel secondo e nel terzo inquartato, Camillo Ghisi, non contento della complessità dello stemma, preferì inserire il blasone completo della famiglia Sfrondati della Riviera, ultimi signori della Vallassina. Nella relazione, l’autore racconta con dovizia di particolari le gesta di questa famiglia, ricordando i principali esponenti, tra i quali Niccolò Sfrondati, che salì al soglio pontificio col nome di papa Gregorio XIV. Per questo motivo è presente l’insegna dei papi costituita dal caratteristico ombrello, usato per far ombra sul pontefice, e dalle chiavi di san Pietro, simbolo della Chiesa. Nell’ultima parte dello stemma è inserito il castello di Barni, le cui mura diroccate si ergono sulla sommità di un colle a difesa dell’abitato.