Semi-partito troncato: il primo, di rosso, alla pentola di nero manicata dello stesso, piena d’oro; il secondo, di verde, al gallo policromo, al naturale, crestato e bargigliato di rosso, imbeccato e membrato d’oro; il terzo, di azzurro, alle due torri, d’argento, murate di nero, merlate di cinque alla guelfa, finestrate e chiuse di nero, riunite dal ponte di argento, murato di nero, con arco ribassato, esse torri fondate sulla pianura di verde.
Uno dei pochi Comuni nella zona dell’Olgiatese a non possedere ancora uno stemma verso la fine del 2004 era proprio Beregazzo con Figliaro. L’esigenza di rappresentare con la stessa importanza le due realtà di cui è composto il paese era il motivo principale del progetto. All’inizio si era pensato solo alle due torri unite da un ponte ma questa figura sembrava insufficiente e poco caratterizzante a raffigurare e a rappresentare le peculiarità di queste due realtà così diverse tra loro. L’elemento del castello in araldica è generico e spesso inflazionato. Il sindaco Luigi Abati propose di inserire il gallo policromo per la comunità di Figliaro, i cui abitanti in dialetto sono denominati i galitt da Fié, e la pentola di nero in cui si cuoce la polenta come simbolo degli abitanti di Beregazzo; questi ultimi, infatti, sono chiamati i pultat da Beregazz. In questo modo fu garantito con pari dignità e maggior enfasi il riconoscimento delle due frazioni richiamate sempre dalle torri unite dal ponte, elementi invariati rispetto allo stemma originario. L’Ufficio Araldico della Presidenza del Consiglio dei Ministri accolse con entusiasmo la proposta del Comune e concesse lo stemma il 5 febbraio 2005.