D’argento, alla torre quadrata, al naturale, merlata di due alla guelfa [alla ghibellina, nda], aperta del campo, murata di nero, disposta a destra dello scudo, sopra una pianura di verde e sinistrata da un mastino rampante al naturale, collarinato d’argento. Capo d’oro, all’aquila dal volo spiegato, di nero.
Raffigurato nelle raccolte araldiche del Cremosano e Trivulziano, lo stemma della città, riconosciuto con un decreto del capo di governo il 6 novembre 1928, allude al nome del paese. Cantù potrebbe derivare, secondo un’ipotesi non del tutto avvalorata da documenti storici, dalla contrazione delle parole canes e turris. Proprio un cane e una torre sono gli elementi principali dell’emblema cittadino. Il mastino, ossia un cane da difesa, in posizione rampante, con le zampe anteriori alzate, evoca il carattere forte degli abitanti della città. In un sonetto, riportato in un libro sulla storia di Cantù del prevosto Carlo Annoni, si trovano i seguenti versi: D’alto valor erge suo volto altero/ Lo bel Canturio: e mille torri e mille/ Fan del suo genio bellicoso e fiero/ Risuonar glorie, e scintillar faville. Cantù viene descritta come la città delle mille torri in diversi documenti storici. L’aquila posta nella parte superiore dello stemma vuole ricordare che il territorio comunale dove si stanziarono i primi abitanti divenne nei secoli una porzione della potenza romana. La pianura di verde sulla quale poggiano la torre e il cane allude certamente al comprensorio di Cantù e alle sue zone rurali e boschive.