Note di araldica generale

L’araldica

Qui di seguito vengono descritti in modo sommario alcuni concetti importanti dell’araldica e in particolare dell’araldica civica, ossia quella riferita agli enti territoriali.

Le origini

L’araldica nasce nel secolo XII più che altro per un’esigenza militare tra i cavalieri feudali che, bardati nella loro armatura, dovevano riconoscere i nemici dai combattenti del proprio esercito. La necessità di sapere con assoluta certezza la posizione del proprio comandante o dei nemici da affrontare, diede sviluppo alla formazione di chiare e semplici insegne indicanti la propria identità. In origine dunque l’araldica non era carica di significati misteriosi e esoterici
come la pensiamo oggi. All’inizio era formata da partizioni e figure lineari: fungevano da segni di riconoscimento. Dalle partizioni semplici si passò alle figure geometriche tra cui le fasce, le bande, le sbarre. A queste partizioni seguirono ben presto delle figure radicate nell’immaginario medievale, quali aquile, leoni e draghi. Tutti raffigurati in un’innaturale posa, con alcuni attributi esasperati, come la lingua, gli artigli, l’aspetto feroce e fissati in posizioni rituali, dando loro quel portamento che si potrebbe definire araldico.
Il linguaggio di riconoscimento semplice e delle figure sempre più complesse, con i loro colori e gli smalti, si diffuse in poco tempo, dalla seconda metà del secolo XII, dai grandi signori feudali alla piccola feudalità rurale. L’araldica divenne un fenomeno di massa, fiorì soprattutto in quelle parti d’Europa dove le signorie furono fortemente ridimensionate dal sorgere delle realtà comunali, specialmente in Svizzera e nell’Italia centro settentrionale.
Saranno proprio le città ad essere invase di stemmi, quelle che raggiungeranno fortissime autonomie locali, grazie alla lontananza e alla decadenza delle autorità imperiali. Il potere dei grossi centri urbani del Nord, del regnum italicum, si sostituì al potere civile del vescovo estendendosi sempre più sul territorio circostante a scapito della feudalità rurale. Le città stato, in lotta per mantenere la propria autonomia conquistata nei decenni precedenti alla salita al
potere degli Svevi, dovevano riconoscersi in simboli e vessilli contrari a quelli del nemico. Si pescava nel repertorio simbolico romano per erigere gli emblemi che ancora una volta trovavano ragione nella pratica militare. Il rosso porpora delle vesti sovrane e l’aquila innalzata nel palazzo di Acquisgrana da Carlo Magno, richiamandosi all’antica Roma, furono gli elementi da cui originò la Blutfahne, la bandiera del sangue, un vessillo inizialmente scarlatto a cui si aggiunse una croce per ricordare l’elemento sacro e cristiano dell’impero. Con queste insegne gli Svevi scendevano in campo e non sarà un caso che le città schierate contro l’autorità imperiale nella Lega Lombarda, quali le città guelfe, innalzassero un vessillo simile dai colori contrari.
Le città ghibelline, leali all’imperatore, invece, erigevano le insegne rosso porpora. L’Anonimo comense parlando dello stemma di Como descriveva una bandiera rossa con la medesima croce d’argento. Il cronista Ottone Morena annotava che l’esercito milanese aveva il suo carozolo, supra quem maximum vexillum album cum cruce rubea in medio deferebatur.
Non solo croci ma altre insegne venivano innalzate, basti pensare allo scudo partito d’oro e di rosso della città di Bergamo, al leone d’azzurro su campo d’argento della città di Brescia.
L’araldica si spostò dal mondo cavalleresco e feudale ai comuni dove borghesi, mercanti, artigiani e religiosi fecero uso di stemmi. Dal Cinquecento in avanti, col passare dei secoli d’oro dell’araldica, i canoni stilistici di semplicità e chiarezza furono stravolti a seconda delle mode e delle esigenze dei tempi. Gli scudi si caricarono di immagini pittoriche e furono deformati.
Comparvero corone, motti, mantelli, fregi, fronde e ghirlande, tutti elementi estranei all’araldica arcaica.
Dal campo di battaglia, dove si era formato, il vessillo cittadino inizia ad assumere un significato simbolo dell’autorità e dell’autonomia cittadina. Lo stemma nato come emblema di libertà diventò così un segno di conquista da imporre ai principali borghi soggetti al contado. Questa è la modalità con la quale gli stemmi si diffusero anche nei centri minori.

Regole

* Non si deve mai porre metallo su metallo, né colore su colore.
* Gli animali devono porsi nella posizione più nobile e conveniente alla loro natura.
* La zampa anteriore destra degli animali passanti o rampanti deve precedere quella
sinistra.
* Gli animali si devono posizionare rivolti verso destra.
* Le armi più semplici sono quelle più belle.
* Le armi migliori sono composte dalle figure araldiche e dagli animali più nobili.
* Le armi dovrebbero portare figure di metallo, su campo di colore.
* Le figure dovrebbero rimanere al centro dello scudo senza toccarne i lati.

Lo scudo

Lo scudo è il supporto sul quale è disegnato lo stemma. In genere, secondo le regole araldiche, è suddiviso in nove punti, tre superiori, tre mediani e tre in punta; quelli laterali sono definiti con il termine tecnico di cantone e fianco; quelli centrali, dall’alto verso il basso, capo, cuore e punta. Vi si possono aggiungere altri due punti: il posto d’onore e l’ombilico, appena sopra o
sotto del centro geometrico.
Negli enti territoriali è previsto uno scudo rigorosamente sannitico, di forma quadrilatera, 7 moduli di larghezza e 9 di altezza con quarti di cerchio per angoli inferiori e punta di mezzo modulo di raggio. È uno scudo ampio, nel quale le figure trovano più spazio e sono ben posizionate.
È importante sottolineare che la parte destra dello scudo si trova alla sinistra di chi guarda, viceversa la parte sinistra risulta essere quella destra.
Questa regola deriva dalla semplice constatazione che lo scudo, tenuto al braccio del cavaliere, era in relazione al suo corpo. Da qui ecco spiegate le suggestive suddivisioni secondo una visione antropomorfica.

Gli smalti

Sono limitati a sette. I primi cinque, definiti colori, sono il rosso, l’azzurro, il verde, il porpora e il nero. Gli altri due, propriamente detti metalli, l’oro e l’argento, spesso disegnati con i colori giallo e bianco.
Nella mentalità medievale i colori venivano accettati indistintamente nelle loro sfumature diverse.
La regola dei colori prevede che uno smalto non può essere sovrapposto a un altro, così un metallo su metallo; il fondamento di questa regola è dovuto essenzialmente alla legge cromatica per aumentare il contrasto tra i colori scuri e quelli chiari, oro e argento.

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